Arena Argentina. Programma luglio 2012

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Secondo mese di programmazione cinematografica all’arena Argentina di Catania. Di seguito il calendario completo in cui vi segnaliamo Shame di Steve McQueen, Terraferma di Crialesi, The Iron Lady con Merly Streep, Melancholia di Lars Von Trier, The artist di Michel Hazanavicius. Evidenziati in blu i film che consigliamo di vedere.

Programmazione Arena Argentina Catania: Agosto – Settembre 

LUGLIO
inizio spettacoli ore 20:45 – 22:45, tranne dove diversamente specificato

Domenica 1
Il cuore grande delle ragazze, di Pupi Avati, con Cesare Cremonini, Micaela Ramazzotti; Italia 2011; 1h e 30 min

Il cuore grande delle ragazze è un film commedia uscito al cinema l’11 novembre 2011, diretto da Pupi Avati. In concorso al Film Festival di Roma 2011. Ambientato negli anni 30 il film narra la storia di due famiglie, una contadina e povera, l’altra ricca e possidente, le quali combinano, per interesse, il matrimonio tra il figlio maschio della prima con una delle figlie della seconda. Ma non tutto andrà come previsto dai genitori. [wikipedia

Lunedì 2
Interno berlinese, di Liliana Cavani, con Gudrun Landgrebe, Kevin McNally, Massimo Girotti; Italia 1985; 1h e 58 min.; ore 20,35 – 22,45

Interno berlinese è un film di Liliana Cavani del 1985. La pellicola venne vietata ai minori di 14 anni dalla censura cinematografica.
Berlino, 1938. Louise von Hollendorf è la moglie di un alto funzionario del Ministero degli Esteri che a un corso di disegno incontra Mitsuko, l’affascinante figlia dell’ambasciatore nipponico. Inizia con lei una storia estremamente passionale che coinvolgerà anche il marito; Mitsuko li condurrà in un gioco erotico di cui è protagonista anche il suo amante. Tutta la storia, poi, viene complicata anche dalla situazione politica della Germania nazista. Alla fine Mitsuko avvelenerà le bevande che Louise e il marito berranno: l’uomo e Mitsuko moriranno, mentre Louise riuscirà a salvarsi. [wikipedia

Martedì 3
Gli infedeli, di Michel Hazanavicius, Emmanuelle Bercot, Jean Dujardin, Fred Cavaye, Alexandre Courtes, Eric Lartigau, Gilles Lellouche; Francia 2012; 1h e 49 min.

Sette registi per raccontare l’infedeltà maschile e le sue numerose declinazioni. Da Fred Cavayé a Michel Hazanavicius, passando per Gilles Lellouche e Jean Dujardin, protagonisti del film.
“L’idea di un film a episodi – afferma Dujardin – è un formato cinematografico che consente una grande varietà”. L’idea per il film sarebbe venuta proprio al recente premio Oscar, “dopo aver sentito la storia di un tizio che, per tradire sua moglie, andava al cinema, comprava un biglietto e staccava il telefono prima di andare a spassarsela. Quando tornava a casa, alla moglie che gli chiedeva perché non fosse raggiungibile sul cellulare, esibiva il biglietto del cinema come prova…”. [mymovies]

Mercoledì 4
Terraferma, di Emanuele Crialese, con Donatella Finocchiaro, Beppe Fiorello; Italia 2011; 1h e 28 min.; Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia

In un’isola del Mare Nostrum, Filippo, un ventenne orfano di padre, vive con la madre Giulietta e il Nonno Ernesto, un vecchio e irriducibile pescatore che pratica la legge del mare. Durante una battuta di pesca, Filippo ed Ernesto salvano dall’annegamento una donna incinta e il suo bambino di pochi anni. In barba alla burocrazia e alla finanza, decidono di prendersi cura di loro, almeno fino a quando non avranno la forza di provvedere da soli al loro destino. Diviso tra la gestione di viziati vacanzieri e l’indigenza di una donna in fuga dalla guerra, Filippo cerca il suo centro e una terra finalmente ferma.
Terraferma è la terza opera che Emanuele Crialese dedica al mare della Sicilia in un’instancabile ricerca estetica avviata con Respiro nove anni prima. Come Conrad, Crialese per raccontare gli uomini sceglie “un elemento altrettanto inquieto e mutevole”, una visione azzurra ‘ancorata’ questa volta al paesaggio umano e disperato dei profughi. Sopra, sotto e intorno a un’isola intenzionalmente non identificata, il regista guarda al mare come luogo di infinite risonanze interiori. Al centro del suo ‘navigare’ c’è di nuovo un nucleo familiare in tensione verso un altrove e oltre quel mare che invade l’intera superficie dell’inquadratura, riempiendo d’acqua ogni spazio.
Dentro quella pura distesa assoluta e lungo il suo ritmo regolare si muovono ingombranti traghetti che vomitano turisti ed echi della terraferma, quella a cui anela per sé e per suo figlio la Giulietta di Donatella Finocchiaro. Perché quel mare ingrato gli ha annegato il marito e da troppo tempo è avaro di pesci e miracoli. Da quello stesso mare arriva un giorno una ‘madonna’ laica e nera, che il paese di origine ha ‘spinto’ alla fuga e quello ospite rifiuta all’accoglienza. La Sara di Timnit T. è il soggetto letteralmente ‘nel mezzo’, a cui corrisponde con altrettanta drammaticità la precarietà sociale della famiglia indigena, costretta su un’isola e dentro un garage per fare posto ai vacanzieri a cui è devoto, oltre morale e decenza civile, il Nino ‘griffato’ (e taroccato) di Beppe Fiorello. Ma se l’Italia del continente, esemplificata da tre studenti insofferenti, si dispone a prendere l’ultimo ferryboat per un mondo di falsa tolleranza dove non ci sono sponde da lambire e approdare, l’Italia arcaica dei pescatori e del sole bruciante (re)agisce subito con prontezza ai furori freddi della tragedia. Di quei pescatori il Filippo di Filippo Pucillo è il degno nipote, impasto di crudeltà e candore, che trova la via per la ‘terraferma’ senza sapere se il mare consumerà la sua ‘nave’ e la tempesta l’affonderà. Nel rigore della forma e dell’esecuzione, Crialese traduce in termini cinematografici le ferite dell’immigrazione e delle politiche migratorie, invertendo la rotta ma non il miraggio del transatlantico di Nuovomondo. Dentro i formati allungati e orizzontali, in cui si colloca il suo mare silenzioso, Terraferma trova la capacità poetica di rispondere alle grandi domande sul mondo. Un mondo occupato interamente dal cielo e dal mare, sfidato dal giovane Filippo per conquistare identità e ‘cittadinanza’. [mymovies]

Giovedì 5
Carnage, di Roman Polanski, con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly; Usa 2011; 1h e 19 min.; Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.

La completa dissoluzione delle convenzioni occidentali in un salotto. ROMAN POLANSKI torna a parlare di (falsi) valori borghesi, dell’apparenza contro la vera natura umana, di ciò che appare in superficie e ciò che si agita nel profondo. “CARNAGE”, tratto dal play “Le dieu du carnage” di Yasmina Reza, mette a nudo l’animo umano spogliandolo delle sovrastrutture della convivenza civile, contrapponendo due coppie di genitori che discutono, dapprima amichevolmente e poi via via sempre più violentemente, di un litigio tra i loro figli maschi, due bambini di undici anni, e della violenza che uno ha arrecato all’altro, forse inconsapevole della portata delle sue azioni.
Ma quello che inizia come un incontro che ha lo scopo di risolvere le cose “da grandi”, diventa presto una sorta di match di wrestling psicologico e in parte fisico, tra quattro persone che regrediscono contemporaneamente all’infanzia – “Non possiamo farci travolgere dai litigi di due bambini”, cercano spesso di ricordarsi – e all’età barbarica. Perché, se le piccole cortesie, i sorrisi di circostanza e il tatto vengono messi da parte, quello che ne esce è l’umano nel suo stato più puro, brado, libero da ogni limitazione e capace di esprimere le proprie idee con assoluta onestà. Peccato che, come ci mostra Polanski, quello che si agita sotto la superficie non sia tanto bello da vedere: in fondo non siamo che animali addomesticati da noi stessi.
La forza della messa in scena colpisce come un gancio: eccoci qui, in questo salotto borghese, tra questi quattro contendenti che si alleano, si scontrano, si allontanano e poi trovano insospettabili ragioni per riavvicinarsi. Il tutto ripreso con un dinamismo impressionante: Polanski scompone lo spazio, passando da inquadrature più ordinate e canoniche ad angoli imprevedibili, frammentando la scena in modo da rendere visivamente lo sgretolarsi non solo delle relazioni tra le due coppie di estranei, ma anche dei due matrimoni. JODIE FOSTER, KATE WINSLET e i loro “mariti” JOHN C. REILLY e CHRISTOPH WALTZ sono tutti perfetti, in particolare quest’ultimo, il cui sguardo sardonico e la cui ironica freddezza si sposano perfettamente con il mondo messo in scena da Polanski. La Foster invece agisce da istigatrice, è la scintilla che genera la “carneficina”, per poi tentare di ritrarsi dalla battaglia erigendo un muro di politicamente corretto. [film.it]

Venerdì 6
Attack the block, di Joe Cornish; G.B. 2011; 1h e 28 min.; Presentato al Torino Film Festival;
Alle ore 20.30 verrà proiettato il corto di Marco Pirrello “Il pezzo di carta”

Lotta senza quartiere nella periferia di Londra: alieni venuti dallo spazio contro baby-gang, in un frullato di reminiscenze carpenteriane (e non solo). L’opera prima di Joe Cornish è un divertente omaggio alla serie B degli anni Settanta e Ottanta, filtrata attraverso una dimensione politica che è quella – attualissima – dell’emarginazione sociale e culturale del mondo globalizzato. Più superficiale di quanto non sembri in realtà, Attack the Block rimane un godibile prodotto di intrattenimento, realizzato con innegabile mestiere ma ad alto rischio di sopravvalutazione. [sentieri selvaggi]
Londra. Sam, un’infermiera tirocinante, sta tornando a casa dal lavoro quando viene aggredita e derubata da una banda composta da cinque giovanissimi teppisti incappucciati: Moses, Pest, Denis, Jerome e Biggz. La donna riesce a fuggire quando un meteorite si schianta su una macchina parcheggiata lì vicino. Incuriositi, i ragazzi si avvicinano alla carcassa dell’automobile e, con grande sorpresa, vengono aggrediti da un piccolo alieno.
Per nulla intimoriti, i cinque giovani si lanciano all’inseguimento della creatura e la uccidono. Dopo averla trascinata in giro per il quartiere come un trofeo di guerra decidono di nasconderla nell’appartamento di Ron, uno spacciatore che vive nel loro stesso caseggiato e che ha creato una piccola coltivazione di cannabis in un appartamento abbandonato agli ultimi piani del palazzo. Mentre Sam e la polizia danno la caccia alla banda, una seconda ondata di meteoriti si abbatte sul quartiere: è un’invasione aliena in piena regola. Convinta di una facile vittoria contro creature così deboli, la gang impugna le armi, inforca le proprie bici e gli scooter e si prepara alla caccia. Ma questa volta le creature sono più grandi e molto più pericolose. [sienafree]

Sabato 7
A dangerous method, di David Cronenberg. Con Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, Vincent Cassel; G.B./ Canada 2011; 1h e 33 min.; Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia

Zurigo 1904. Carl Gustav Jung ha ventinove anni, è sposato, in attesa di una figlia e affascinato dalle teorie di Sigmund Freud. Nell’ospedale Burgholzli in cui esercita la professione di psichiatra viene portata una giovane paziente, Sabina Spielrein. Jung decide di applicare le teorie freudiane sul caso di questa diciottenne che si scoprirà aver vissuto un’infanzia in cui le violenze subite dal padre hanno condizionato la visione della sessualità. Nel frattempo Freud, che vede in Jung il suo potenziale successore, gli manda come paziente lo psichiatra Otto Gross, tossicodipendente e dichiaratamente amorale. Saranno i suoi provocatori argomenti contro la monogamia a far cadere le ultime barriere e a convincere Jung ad iniziare una relazione intima con Sabina.
Non è difficile capire quanto questa sceneggiatura (che risale alla metà degli anni Novanta) e soprattutto questa storia con protagonisti che hanno rivoluzionato le scienze umane abbiano suscitato l’interesse di David Croneberg attento, come sempre, a vicende in cui siano centrali la complessità dell’essere umano e il coacervo di sentimenti e pulsioni che ne promuovono l’agire. Non c’è carne esposta o martoriata in questo film e neppure la violenza che esplodeva improvvisa nelle sue due ultime opere. C’è semmai un ritorno all’indagine della psiche già affrontato in Spider sotto l’egida di un romanzo di McGrath… [mymovies]

Domenica 8
The iron lady, di Phyllida Lloyd, con Meryl Streep, Richard E. Grant;
G.B. 2012; 1h e 45 min.; Premio Oscar per la migliore interpretazione femminile

Chester Square, oggi. L’ottantenne Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico, affetta da una crescente demenza senile, parla con il marito Denis, morto da anni, mentre resiste alla necessità di liberarsi del guardaroba dell’uomo e insieme combatte strenuamente la perdita del suo immenso potere e l’inesorabile passare del tempo. Nota per la sua politica ultraconservatrice e per le scelte controverse in campo nazionale e internazionale, la Thatcher – racconta il film – è stata una donna che all’ambizione politica ha immolato se stessa e la sua vita privata.
Se si può solo restare ammirati da un talento che non scema e anzi probabilmente cresce, come quello di Meryl Streep, qui nella performance che ne farà un’icona elevata alla seconda, il resto del film controbilancia tanto entusiasmo e si dispiega su un binario pianamente biografico: pianeggianti sono, infatti, la regia di Phyllida Loyd e la scrittura di Abi Morgan, forse più felice in sede televisiva che cinematografica. 
Le idee di fondo sono due: da un lato, l’adozione di una focalizzazione interna, vale a dire del punto di vista della protagonista, in modo da sospendere (o quasi) ogni giudizio esterno sul suo operato politico; dall’altro l’idea di raccontare la Thatcher anziana, preda di una malattia progressiva e allucinogena che le fa mescolare il presente ai ricordi del passato, kronos e kairos, e in questo modo la costringe a ripercorrere una vita e a fare un bilancio (solo) in parte doloroso di se stessa. 
Non c’è dubbio che lo sguardo sul personaggio esca da un lavaggio con dosi massicce di ammorbidente, ma parlare di agiografia non è onesto, perché man mano che il film procede la determinazione della giovane Margaret Roberts lascia sempre più chiaramente il posto alla cecità di una donna che obbedisce ad una convinzione monomaniacale (no al compromesso, in nessun caso), mandando per questo a morire la sua gente e mettendo in ginocchio una nazione. È un passaggio silenzioso ma presente. E tra le righe bisognerebbe leggere almeno un altro dato che il film non commenta: la sua rielezione da parte dei cittadini brittanici per ben tre mandati, nonostante fosse la donna più odiata del mondo. 
Al di là di trucco e parrucco, The Iron Lady ha dunque una sua ragione d’interesse non solo in Jim Broadbent, che si conferma un efficacissimo salvagente, ma soprattutto fuori dallo schermo, oggi che l’Inghilterra non è meno Broken England di allora e di certo non è la sola. La confusione tra passato e presente potrebbe non essere solo un espediente di scrittura, ma affondare qualche volontaria radice nella realtà. [mymovies]

Lunedì 9
L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Philip Kaufman, con Daniel Day-Lewis, Juliette Binoche, Lena Olin; Usa 1988; 2h e 53 min.; Spettacolo unico ore 21

Basato sull’omonimo romanzo (ceco: Nesnesitelná lehkost bytí) scritto da Milan Kundera nel 1984. Ambientato nel 1968 a Praga, il film racconta la vita degli artisti e degli intellettuali in Cecoslovacchia durante la cosiddetta Primavera di Praga, interrotta dall’invasione sovietica col proposito di “correggere fraternamente il deviazionismo” dalla buona strada socialista che aveva contagiato l’intera nazione. [wikipedia]

Martedì 10
Anche se è amore non si vede, di e con Ficarra e Picone, con Ambra Angiolini, Diane Fleri; Italia 2011; 1h e 36 min.

Amici fin dall’infanzia, Salvo e Valentino gestiscono una piccola impresa di servizi turistici a Torino, accompagnando ogni giorno su un vecchio e colorato bus inglese gruppi di stranieri in giro per la città. Dei due, Valentino è l’uomo fedele e innamorato fino allo sfinimento della compagna Gisella; Salvo è invece lo scapolo scapestrato determinato ad assumere solo giovani guide turistiche carine e single. Quando Gisella, stremata dall’affetto sdolcinato e ossessivo di Valentino, chiede a Salvo di dirgli che vuole lasciarlo, si avvia una serie di romantici equivoci e di incroci sentimentali che coinvolgono anche Natascha, la nuova guida della società, Sonia, una cara amica d’infanzia, e Peter, il suo borioso fidanzato americano. [mymovies]

Mercoledì 11
La kryptonite nella borsa, di Ivan Cotroneo, con Valeria Golino, Cristiana Capotondi, Luca Zingaretti, Libero De Rienzo, Fabrizio Gifuni; Italia 2011; 1h e 38 min.; Presentato al Festival di Roma. Il film è inserito nel calendario dell’Ortigia Film Festival in programma ad Ortigia (Sr) dal 18 al 24 luglio

Napoli, 1973. Peppino è il più giovane membro della famiglia Sansone. Neanche dieci anni, l’onta di una forte miopia giovanile e un’ammirazione per lo strambo cugino che crede di essere Superman. In seguito alla sua morte, il piccolo Peppino comincia a immaginarne la presenza, e di questo supereroe fantasma dal naso aquilino e dal forte accento napoletano fa il suo unico amico fidato. Quando la madre Rosaria entra in depressione dopo aver scoperto che il marito la tradisce, sarà infatti lui, più che i due zii giovani e incoscienti o i tre piccoli pulcini donati dal padre fedifrago, a insegnargli come trovare il proprio posto nel mondo. [mymovies]

Giovedì 12
Shame, di Steve McQueen, con Michael Fassbender, Carey Mulligan; G.B. 2011; 1h e 41 min.; Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.

Brandon ha un problema di dipendenza dal sesso che gli impedisce di condurre una relazione sentimentale sana e lo imprigiona in una spirale di varie altre dipendenze. Nulla traspare all’esterno: Brandon ha un appartamento elegante, un buon lavoro ed è un uomo affascinante che non ha difficoltà a piacere alle donne. Al suo interno, però, è un inferno di pulsioni compulsive. Va ancora peggio alla sorella Sissy, bella e sexy, ma più giovane e fragile, la quale passa da una dipendenza affettiva ad un’altra ed è sempre più incapace di badare a se stessa o di controllarsi. 
Dopo aver colpito indelebilmente gli occhi di chi ha visto il suo primo film, Hunger, colpevolmente non distribuito in Italia, il videoartista britannico Steve McQueen richiama con sé Michael Fassbender come protagonista di Shame, un film che è altrettanto politico, nelle intenzioni, per quanto non lo sia esplicitamente nel soggetto (com’era invece per la vicenda di Bobby Sands). 
Alla prigionia del carcere, dove l’uomo è privato di tutto, si sostituisce qui una trappola mentale altrettanto incatenante e umiliante, favorita paradossalmente dalla libertà di potersi comprare tutto e subito: una escort, una stanza d’albergo o un film. È l’altra faccia della società “on demand” quella che McQueen racconta in questo dramma privatissimo solo all’apparenza, venato di una tristezza senza freni. La nudità di Fassbender, che apre il film, è soprattutto una condizione figurata e quando, man mano che il minutaggio avanza, l’interpretazione dell’angoscia si fa più dichiarata e arrivano le lacrime e le contorsioni, si ha quasi l’impressione che non aggiungano molto ma diano solo più senso a quelle prime sequenze, che già contenevano tutto. 
Meno straordinario di Hunger, più imploso e grigio (non solo nella pigmentazione), Shame conferma la grande capacità di McQueen nella scelta delle inquadrature, il suo lavoro singolare sul sonoro, la poetica dell’accostamento di bellezza e brutalità, qui meno evidente ma non meno presente. Ma un grande dono viene senza alcun dubbio al film dal contributo di Carey Mulligan, che presta la sua bravura al personaggio tragico di Sissy e al suo sogno senza fondamento di un “brand new start”, di poter ricominciare da capo lì a New York perché, come canta in una sequenza da brivido, “if I can make it there I’ll make it anywhere”. Ma è vero soprattutto il contrario. [mymovies]

Venerdì 13
One day, di Lone Scherfig, con Anne Hathaway, Jim Sturgess; G.B./Usa 2011; 1h e 47 min.

15 luglio 1988 giorno di San Swithin a Edimburgo Emma Morley e Dexter Mayhew si laureano, si conoscono e passano la notte insieme abbracciati, senza far l’amore. S’incontrano nel momento più bello della loro vita, quando tutto sembra possibile. Ma le loro strade prenderanno direzioni diverse e devono dirsi addio. Per vent’anni si inseguiranno, si perderanno e si sfioreranno senza mai potersi dire che il loro è vero amore. Ogni anno il 15 luglio sarà una data speciale, ovunque si trovino e qualsiasi cosa stiano facendo, le sensazioni di quella prima notte insieme tornerà a vibrare. [indieforbunnies]

Sabato 14 e Domenica 15
Midnight in Paris, di Woody Allen, con Owen Wilson, Rachel McAdams, Marion Cotillard; Usa 2011; 1h e 34 min. 

Gil (sceneggiatore hollywoodiano con aspirazioni da scrittore) e la sua futura sposa Inez sono in vacanza a Parigi con i piuttosto invadenti genitori di lei. Gil è già stato nella Ville Lumiêre e ne è da sempre affascinato. Lo sarà ancor di più quando una sera, a mezzanotte, si troverà catapultato nella Parigi degli Anni Venti con tutto il suo fervore culturale. Farà in modo di prolungare il piacere degli incontri con Hemingway, Scott Fitzgerald, Picasso e tutto il milieu culturale del tempo cercando di fare in modo che il ‘miracolo’ si ripeta ogni notte. Suscitando così i dubbi del futuro suocero. [mymovies]

Lunedì 16
Manhattan, di Woody Allen, con Michael Murphy, Diane Keaton, Woody Allen, Meryl Streep, Mariel Hemingway;
Usa 1979; 1h e 36 min.

Manhattan è un film del 1979 diretto da Woody Allen. Fu presentato fuori concorso al 32º Festival di Cannes. Nel 2001 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. È stato inoltre inserito dall’American Film Institute nell’AFI’s 100 Years… 100 Laughs del 2000 (46º posto).
Il protagonista è Isaac Davis, un autore televisivo di 42 anni che abita a Manhattan. Ha appena divorziato dalla sua seconda moglie, Jill, che l’ha lasciato per un’altra donna, Connie, e che sta scrivendo un libro su quel matrimonio fallimentare. Isaac, a sua volta, frequenta una ragazza di 17 anni, Tracy, in una relazione che egli immagina breve, a causa della differenza di età. Il suo migliore amico, Yale, sta attraversando un periodo difficile perché, pur essendo sposato con Emily, si è affezionato a un’altra donna, Mary, una giornalista divorziata. Isaac la incontra a una mostra fotografica e ne ricava una prima impressione di donna troppo sofisticata, saccente e pedante.
Durante una discussione sul luogo di lavoro, Isaac si licenzia. In attesa che il libro che sta scrivendo venga pubblicato, decide di risparmiare cercando un nuovo appartamento, più economico e di qualità inferiore. A una festa incontra nuovamente Mary, e comincia a stringere amicizia con lei, la quale, nel frattempo, è indecisa fra l’amore per Yale e il desiderio di non rovinarne il matrimonio. A Tracy viene offerto di studiare alla scuola d’arte drammatica di Londra, e vorrebbe recarvisi con Isaac: Isaac, però, declina l’invito sapendo che quella relazione non potrà durare, e, anzi, proprio per questo, incoraggia la ragazza a cogliere l’opportunità. Yale lascia Mary perché ritiene il loro rapporto una strada senza uscita; lei allora, col pretesto di cercare qualcuno che la consoli, frequenta Isaac sempre più spesso, finché i due s’innamorano. Isaac, a sua volta, decide di troncare la sua relazione con Tracy, che ne rimane sconvolta e amareggiata.
Qualche mese dopo, Mary informa Isaac che ha intenzione di lasciarlo, poiché sta ricominciando a frequentare Yale. Riflettendo, Isaac si rende conto di quanto gli manchi Tracy e, infine, si risolve a raggiungerla di corsa a casa sua. La incontra mentre si sta accingendo alla partenza per Londra. Le chiede di restare a New York, ma lei decide di partire, sapendo quanto importante sia quell’occasione per il proprio futuro, e chiede ad Isaac di attendere con fiducia il suo ritorno, dopo sei mesi. La colonna sonora di Manhattan è stata composta da George Gershwin. [wikipedia]

Martedì 17
Niente da dichiarare?, di Dany Boon. Con Benoît Poelvoorde, Dany Boon, Julie Bernard; Francia 2011; 1h e 48 min.

Nella primavera del 1986, Ruben Vandevoorde, un doganiere belga severo e sciovinista animato da un fervido odio anti-francese, vive con disperazione l’annuncio della chiusura delle frontiere europee. Sette anni dopo, alla vigilia della definitiva cancellazione delle dogane sul confine fra Francia e Belgio, Ruben trascorre le ultime ore di vita della frontiera dando sfogo a tutto il suo spirito nazionalista e tormentando i frontalieri francesi. Dall’altra parte del confine, tutti i vigilanti francesi odiano e temono a loro volta il razzista Vandevoorde e la sua pericolosa indisponenza. In modo particolare, lo teme il mite poliziotto Mathias Ducatel, innamorato di sua sorella e determinato a sposarla. Nel momento in cui viene deciso di creare una pattuglia di dogana mobile franco-belga per debellare un ingente traffico di droga, Mathias decide di far squadra con Vandevoorde per conquistare un posto nel cuore dell’arcigno francofobo e ottenere il suo beneplacito a entrare a far parte della famiglia. [mymovies] Recensione del film [sentieriselvaggi]

Mercoledì 18
Ciliegine, di Laura Morante. Con Laura Morante, Pascal Elbé, Isabelle Carré;  Francia 2012; 1h e 40 min.

Amanda ha sempre avuto con gli uomini rapporti complicati, li giudica irreparabilmente inaffidabili, li guarda con sospetto, pronta a cogliere i segni certi dell’arroganza, del tradimento, dell’indifferenza. Secondo il marito della sua migliore amica Florence, un eccentrico psicanalista, Amanda è affetta da androfobia: ha paura degli uomini. E’ quindi fatale che qualunque inezia diventi pretesto per interrompere le sue relazioni. Ma la sera del 31 Dicembre accade qualcosa di veramente insolito: con Antoine, un uomo incontrato al veglione organizzato da una collega di Florence, Amanda sembra un’altra, tenera, gentile, indulgente. Florence è stupefatta. E’ possibile che fra i due sia scoppiato un vero e proprio colpo di fulmine? In realtà, vittima di un equivoco, Amanda è convinta che Antoine sia gay, quindi innocuo. Quando Florence si rende conto del malinteso, il marito psicanalista la dissuade dal disingannare Amanda. Perché Amanda possa finalmente guarire, bisogna anzi convincere Antoine a fingersi gay… [sito web del film] Recensione del film [sentieriselvaggi]

Giovedì 19
E ora dove andiamo?, di e con Nadine Labaki; Francia/Libano 2011; 1h e 50 min.; Presentato al Festival di Cannes

In un paese in una zona montuosa del Medioriente la piccolo comunità è divisa tra musulmani e cattolici. Se gli uomini sono spesso pronti alla rissa tra opposte fazioni le donne, tra cui spiccano le figure di Amale, Takla, Yvonne, Afaf e Saydeh sono invece solidali nel cercare di distogliere mariti e figli dal desiderio di trasformare i pregiudizi in violenza. Non tralasciano alcun mezzo in questa loro missione, ivi compreso far piangere sangue a una statua della Madonna o far arrivare in paese delle ballerine da avanspettacolo dell’Europa dell’Est affinché i maschi siano attratti da loro più che dal ricorso alle armi. Si arriva però, nonostante tutto, a un punto di tensione tale in cui ogni tentativo di pacificazione sembra ormai inutile. [mymovies]

Venerdì 20
Melancholia, di Lars Von Trier, con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling;
Danimarca 2011; 2h e 10 min.; Presentato al Festival di Cannes; ore 20,30 – 22.45.

Justine arriva con il neomarito alla festa delle nozze che il cognato e la sorella Claire le hanno organizzato con un ritmato protocollo. Justine sorride molto ma dentro di sé prova un disagio profondo che la spingerà ad allontanarsi in più occasioni dai festeggiamenti provocando lo sconcerto di molti, marito compreso. Non si tratta però solo di un malessere esistenziale privato. Una grave minaccia incombe sulla Terra: il pianeta Melancholia si sta avvicinando e, benché il mondo scientifico inviti all’ottimismo, il rischio di collisione e di distruzione totale del globo terrestre è più che mai realistico. Tempo dopo, con Melancholia sempre più vicino, sarà Claire a invitare a casa sua la sorella.
Dopo il harakiri a tutto schermo di Antichrist Lars Von Trier decide di rinunciare ai colpi bassi nei confronti dello spettatore offrendogli, in versione apocalittica, la sua visione delle sorti dell’umanità su questa Terra. Lo fa con un prologo wagneriano (“Tristano e Isotta”) di alta e simbolica qualità estetica a cui fa seguire una bipartizione che vede protagoniste le due sorelle (prima Justine e poi Claire). Due sorelle, due donne che il ‘misogino’ per definizione del cinema europeo prende questa volta, in particolare Justine, come rappresentanti di se stesso. Di Justine condivide la sensazione viscontiana di fine di un mondo che merita di dissolversi e, al contempo, il dissacrante e sofferente distacco da tutte le convenzioni. In Claire vede il bisogno (registico) di ‘mettere ordine’, di trovare un senso, di controllare anche l’ineluttabile. Le circonda di una folla vinterberghiana (Festen) ritrovando parte degli stilemi del Dogma, nella prima parte, per poi, progressivamente, lasciarle sole con il figlio bambino della seconda e con la Natura. Una Natura che in Von Trier è sempre ‘avanti’ rispetto all’essere umano sia che avverta i segni di una catastrofe sia che ne anticipi la dissoluzione. Sulla complessità di un mondo che vorrebbe poter amare non riuscendoci, il regista danese fa intervenire il suo amore per l’Arte che si è data il compito di ‘leggere’ per noi la realtà nel profondo. Nel farlo getta un ponte (più o meno conscio non sappiamo) con un Maestro del Cinema come Andrej Tarkovskij. Come non pensare a Lo specchio dinanzi alla doppia proposizione de “Il ritorno dei cacciatori” di Pieter Brueghel il Vecchio? Ma, soprattutto, come non ricordare Sacrificio, l’ultimo film del regista russo che affrontava una tematica analoga partendo da premesse differenti ma con la stessa volontà di messa in gioco di uno sguardo e una ricerca ‘alti’? Uno sguardo e una ricerca che Von Trier vuole condividere con lo spettatore, convinto com’è che “può darsi che non ci sia nessuna verità per cui provare un ardente desiderio ma che il desiderio di per sé stesso è già vero”. [mymovies]

Sabato 21 e domenica 22
The artist, di Michel Hazanavicius. Con Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman;
Francia 2011; 1h e 40 min.; Vincitore del Premio per il miglior attore (Jean Dujardin) al Festival di Cannes 2011; Premio Oscar 2012 per miglior film, regia, attore, costumi e colonna sonora.

Anno Domini 2011, era del 3D che invade con qualche perla e tante scorie gli schermi di tutto il mondo. Michel Hazanavicius porta sullo schermo, con una coproduzione di rilievo, un film non sul cinema muto (che sarebbe già stato di per sé un bel rischio) ma addirittura un film ‘muto’. Cioé un film con musica e cartelli su cui scrivere (neanche tanto spesso) le battute dei personaggi. Si potrebbe subito pensare a un’operazione da filologi cinefili da far circuitare nei cinema d’essai. Non è così. La filologia c’è ed è così accurata da far perdonare l’errore veniale dei titoli di testa scritti con una grafica e su uno sfondo che all’epoa erano appannaggio dei film noir.
Hazanavicius conosce in profondità il cinema degli Anni Venti ma questa sua competenza non lo ha raggelato in una riesumazione cinetecaria. Si ride, ci si diverte, magari qualcuno si commuove anche in un film che utilizza tutte le strategie del cinema che fu per raccontare una storia in cui la scommessa più ardua (ma vincente perlomeno al festival di Cannes) è quella di di-mostrare che fondamentalmente le esigenze di un pubblico distante anni luce da quei tempi sono in sostanza le stesse. Al grande schermo si chiede di raccontare una storia in cui degli attori all’altezza si trovino davanti una sceneggiatura e un sistema di riprese che consentano loro di ‘giocare’ con i ruoli che gli sono stati affidati. Se poi il film può essere letto linguisticamente anche a un livello più alto (come accade in questa occasione in particolare con l’uso della colonna sonora di musica e rumori) il risultato può dirsi completo. Per una volta poi si può anche parlare con soddisfazione di un attore ‘cane’. Vedere per credere.
Hollywood 1927. George Valentin è un notissimo attore del cinema muto. I suoi film avventurosi e romantici attraggono le platee. Un giorno, all’uscita da una prima, una giovane aspirante attrice lo avvicina e si fa fotografare sulla prima pagina di Variety abbracciata a lui. Di lì a poco se la troverà sul set di un film come ballerina. È l’inizio di una carriera tutta in ascesa con il nome di Peppy Miller. Carriera che sarà oggetto di una ulteriore svolta quando il sonoro prenderà il sopravvento e George Valentin verrà rapidamente dimenticato. [mymovies]

Lunedì 23
Fahrenheit 451, di François Truffaut, con Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack;
Francia 1966; 1h e 57 min.; ore 20,35 – 22,45

Fahrenheit 451 (edito in Italia anche con il titolo Gli anni della fenice) è un romanzo di fantascienza scritto da Ray Bradbury. Nasce come estensione del racconto breve The Fireman, pubblicato nel 1951 sulla rivista Galaxy Science Fiction, e in Italia su Urania Rivista in due puntate (nn. 13 e 14, novembre e dicembre 1953) con il titolo Gli anni del rogo. Venne pubblicato per la prima volta nel 1953 sulla nascente rivista Playboy, sul secondo, terzo e quarto numero.
L’ambientazione è quella di un ipotetico futuro (dopo il 1960) nel quale leggere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume. Il titolo del romanzo viene da alcuni riferito alla temperatura di autocombustione della carta (quella a cui brucia spontaneamente secondo le unità di misura imperiali), 451 gradi Fahrenheit appunto, che corrispondono a 232,78 °C. Va però detto che di tale attribuzione non si trova traccia nel testo del romanzo (451 è solo il numero sull’elmetto da pompiere del protagonista Montag) e che non esiste un’unica temperatura di autocombustione della carta (dipende dallo spessore della carta stessa, ad es. carta da giornale: 185 °C, carta da lettera: 360 °C). [tratto da wikipedia] 
Il film del 1966 è stato diretto da François Truffaut.
Per la prima volta Truffaut si cimenta col colore e con una produzione straniera che gli garantisce un budget elevato. Il risultato è un film destinato al mercato internazionale, distribuito dalla Universal, da cui traspare l’interesse del regista per il cinema di Alfred Hitchcock, rimarcato dalla presenza della musica di Bernard Herrmann.
Film predittivo, al pari di 1984, di fantapolitiche svolte della società futura, sottolinea lo strapotere mediatico assunto dal mezzo televisivo. In tutta la vicenda l’onnipresente schermo casalingo costringe la popolazione ad una ebete sudditanza nei confronti del potere. I libri, sovversivi per definizione, a meno che non siano come da normativa, non stampati, costituiscono una possibile via di fuga verso nuovi orizzonti.
Girato dal 12 gennaio al 22 aprile 1966 nei Pinewood Studios e nei dintorni di Londra, fu proiettato in pubblico per la prima volta il 16 settembre 1966.

Martedì 24
Almanya – la mia famiglia va in Germania, di Yasemin Samdereli, con Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser; Germania 2011; 1h e 37 min.; Presentato al Festival del Cinema di Berlino

Dopo aver lavorato per 45 anni come operaio ospite (“Gastarbeiter”) Hüseyin Yilmaz, annuncia alla sua vasta famiglia di aver deciso di acquistare una casetta da ristrutturare in Turchia. Vuole che tutti partano con lui per aiutarlo a sistemarla. Le reazioni però non sono delle più entusiaste. La nipote Canan poi è incinta, anche se non lo ha ancora detto a nessuno, e ha altri problemi per la testa. Sarà però lei a raccontare al più piccolo della famiglia, Cenk, come il nonno e la nonna si conobbero e poi decisero di emigrare in Germania dall’Anatolia. [mymovies] Recensione del film [sentieriselvaggi]

Mercoledì 25
I giorni della vendemmia, di Marco Righi, con Lavinia Longhi, Marco D’Agostin; Italia 2011; 1h e 20 min.; Saranno presenti il regista Marco Righi e la produttrice Simona Malagoli.

I giorni della vendemmia è un film del 2010, opera prima del giovane regista Marco Righi. Nel settembre torrido del 1984, Elia vive con i genitori nella campagna emiliana, nota per la commistione di cattolicesimo e socialismo nostrano. William, il padre, ha una forte inclinazione ideologica al marxismo mentre la madre Maddalena è una fervente cattolica. Il tempo è quello della vendemmia, e ad aiutare nel vigneto di famiglia arriva la nipote di una coppia di compaesani: Emilia. Presuntuosa e disinvolta, Emilia è una rivoluzione nella quotidianità provinciale di Elia. Sito web del film.

pina win wendersGiovedì 26
Pina, di Wim Wenders; Germania 2011; 1h e 46 min.; Interpretato da Pina Bausch, Regina Advento, Malou Airaudo, Ruth Amarante, Jorge Puerta, Rainer Behr, Andrey Berezin, Damiano Ottavio Bigi, Bénédicte Billet, Ales Cucek. Presentato Al 61° festival del cinema di Berlino, con tanto di presenza in sala, al fianco del regista, della Cancelliera Merkel, Pina di Wim Wenders è un appassionato, rispettoso e doveroso omaggio all’opera di un monumento dell’arte del ‘900, a cui l’autore de Il cielo sopra Berlinostava lavorando insieme con la stessa Pina Bausch, prima che un cancro se la portasse via il 30 giugno del 2009. Sospeso ma poi portato a compimento come affettuoso ricordo di un’artista che spesso ha influenzato e ammaliato registi cinematografici, dai conterranei Rainer Werner Fassbinder e Werner Schroeter, al nostrano Federico Fellini e forse più di tutti lo spagnolo Pedro Almodóvar. [meganai] Recensione del film [cineblog]

Venerdì 27
Diaz, di Daniele Vicari, con Claudio Santamaria, Elio Germano; Italia 2012; 2h e 5 min.; Premio del pubblico al Festival di Berlino; ore 20,30 – 22,45

Su una cosa dovrebbero tutti essere d’accordo, indipendentemente dagli schieramenti politici o cinematografici: che quanto accaduto a Genova durante il G8 del 2001, e in particolare alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, rappresenta ancora un ingombrante e vergognoso rimosso nella coscienza collettiva del nostro paese.
Raccontare quei fatti al cinema, però, tendeva più di una trappola. E bisogna rendere atto a Daniele Vicari di averle evitate pressoché tutte in un film di grande impatto emotivo… [coomingsoon]

Sabato 28 e domenica 29
This-Must-Be-The-PlaceThis must be the place, di Paolo Sorrentino, con Sean Penn, Frances McDormand; Francia/Italia 2011; 2h; ore 20,30 – 22,45

This Must Be the Place è un film del 2011 scritto e diretto da Paolo Sorrentino ed interpretato da Sean Penn. Primo film di Sorrentino in lingua inglese, è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2011 e ha vinto 6 David di Donatello. Il titolo del film è un tributo alla canzone This Must Be the Place (Naive Melody) dei Talking Heads, inclusa nell’album Speaking in Tongues del 1983.
Cheyenne è una rock star, celebre negli anni ottanta come leader del gruppo musicale Cheyenne & The Fellows, che nonostante si sia ormai ritirato dalle scene si veste e si trucca come quando saliva sul palco. Da diversi anni ha scelto un esilio volontario nella sua grande casa di Dublino, dove vive con la moglie Jane e passa le giornate a seguire i suoi investimenti in borsa. Proprio la compagna e i numerosi fan, che lo vedono ancora come un’icona, cercano di spingerlo a tornare sulle scene, ma lui, depresso e ansioso, non crede più nel potere taumaturgico del rock. Un giorno viene informato che suo padre, con cui non ha contatti da tanti anni, sta morendo a New York. Avendo paura di volare giunge negli Stati Uniti via nave, ma quando arriva scopre che il padre è già deceduto. Viene inoltre a conoscenza del fatto che il genitore aveva dedicato gran parte della sua vita alla ricerca di Aloise Lange, l’ufficiale nazista che lo aveva umiliato in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Decide di proseguire le ricerche del padre intraprendendo così un viaggio solitario negli Stati Uniti lungo il quale incontrerà David Byrne; Ernie Ray, un ricco uomo d’affari che gli presta il suo pick-up; l’anziana moglie di Lange, un tempo insegnante di storia a cui dice di essere stato un suo studente; la nipote dell’ufficiale nazista, giovane vedova che vive da sola con il figlio; l’inventore delle valigie con le rotelle e Mordecai Midler, un facoltoso ebreo esperto cacciatore di nazisti che lo aiuterà nel suo intento. [wikipedia

Lunedì 30
Brazil, di Terry Gilliam. Con Robert De Niro, Jonathan Pryce, Katherine Helmond, Bob Hoskins;
Usa 1985; 2h e 4 min.; ore 20,30 – 22,45

Brazil è un film del 1985 diretto da Terry Gilliam. Il film è ambientato in un futuro in cui la burocrazia ha preso il sopravvento in ogni attività dell’uomo e, combinata al cinismo spietato dei potenti, uccide i pochi che ancora riescano a sognare.
Sam Lawry, funzionario timido e sognatore dell’elefantiaco apparato burocratico di una società prossima ventura (ma sempre nel ventesimo secolo), immagina di volare nel cielo limpido insieme alla donna dei suoi sogni, che gli sembra di riconoscere nella vicina di casa di un povero operaio arrestato per un banale scambio di persona.
Secondo film di Terry Gilliam, che fin da comico era un’anima estrosa e genialoide. Un anno dopo il fatidico 1984, “Brazil” è un omaggio a Orwell alla maniera dei Monty Python. Straripante e senza freni nella buona e nella cattiva sorte, quando riversa il suo nero sarcasmo su bersagli non dissimili da quelli del celebre gruppo inglese: il dileggio del “progresso” di un mondo futuro grigiamente identico agli anni ’40 (e al cinema danno pure Casablanca…), la rappresentazione ottusa e grottesca della burocrazia, l’ossessione per l’estetica e l’eterna giovinezza, l’alienazione e l’incomunicabilità di chi va fuori dagli schemi. Gilliam ci aggiunge le scenografie sontuose (candidatura all’Oscar) e le sue classiche visioni (non sfugga il giochino di parole: samurai = “Sam, you’re I”, a simboleggiare la lotta del protagonista contro i propri fantasmi), e riesce a imporre un ritmo da musical districandosi tra tubature, impianti d’aria condizionata e scartoffie varie. Qui e là va fuori giri, per la troppa abbondanza di carne al fuoco. Nel genere della fantascienza, comunque, è molto vicino ad essere una pietra miliare. De Niro, con sole tre scene a disposizione, lascia il segno. [cinemascope]

Martedì 31
Immaturi – il viaggio, di Paolo Genovese, con Raoul Bova, Ambra Angiolini, Ricky Memphis, Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Barbora Bobulova, Anita Caprioli; Italia 2012; 1h e 40 min.

Dopo essersi ritrovati per affrontare gli esami della maturità, i sette protagonisti del film decidono di organizzare quel famoso viaggio di fine scuola che non erano riusciti a fare ai tempi del liceo. Accompagnati, chi volontariamente e chi no, da mogli, fidanzate, genitori e figli, vivranno nuove avventure e nuovi percorsi di crescita in un’isola della Grecia, rivelando ognuno nuove debolezze, a dimostrazione che la vera “maturità” non si raggiunge mai completamente. Recensione del film [sentieri selvaggi]

 

Arena Argentina
Via Vanasco 10 (traversa via umberto) Catania
Telefono 095.322030 

Ingresso € 3,00 Ridotto € 2,50 
Tesserati Cinestudio € 2,00 
Studenti e Under 26 
Solo Venerdì € 1,00

 

 Programmazione Arena Argentina Catania: Agosto – Settembre 

 

 

 

Author: Luigi Marino

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