Uscito l’8 maggio scorso, “L’ultimo Romantico” il nuovo disco di Mario Venuti, sarà presentato dallo stesso cantautore siciliano il 14 maggio alla Mondadori di Palermo, il 15 maggio a La Feltrinelli di Catania. Gli incontri sono previsti intorno alle ore 18.00 con ingresso libero.
“L’ultimo romantico”, a tre anni di distanza da “Recidivo”, include 12 brani inediti scritti da Mario Venuti, 10 dei quali a quattro mani dall’inseparabile Kaballà, è stato prodotto da lui stesso insieme a Roberto Vernetti, e suonato in studio con l’ausilio degli Arancia Sonora (Tony Canto, Vincenzo Virgilito, Tony Brundo e Franco Barresi).
Questa la tracklist: “Rosa Porporina”, “Trasformazioni”, “Là ci Darem la Mano”, “Rasoi”, “Quello che ci Manca”, “Con qualsiasi cosa”, “Non sarò io”, “DNA”, “L’Ultimo Romantico”, “Fammi il Piacere”, “Gaudeamus”, “Terra di nessuno”.
“Il termine romantico sembra aver perso il suo significato originario ed è diventato col tempo sinonimo di sentimentale. Stucchevole quanto le scritte dei Baci Perugina!
Ma in un periodo come quello che stiamo vivendo, costretti ad affidare ogni speranza ai mercati e ai diktat numerici della finanza, la parola romantico dovrebbe riacquisire il suo antico significato. Romantico è chi reagisce alla razionalità con l’emotività, la fantasia e l’immaginazione.
Il romantico cerca l’ infinito, il desiderio del desiderio, lo slancio verso l’Assoluto, la spinta ad oltrepassare i limiti della realtà. Il romantico prova struggente tensione, senso di continua inquietudine. Il romantico insegue il sogno, la visione, la follia e sperimenta continue fughe dalla realtà spazio-tempo.
Quel sogno mi ha spinto a fare della musica la mia vita. La fede nell’arte forse può colmare la paure delle tempeste della borsa e dello spread altalenante e ancor di più colmare la sensazione di vuoto, di paura e di fragilità. Bello sarebbe non sentirmi più un sopravvissuto, un animale in via d’estinzione, l’ultimo romantico.” Mario Venuti
Come sempre, la voce di Mario Venuti va al di là dei generi. Si diverte a tendere tranelli all’ascoltatore, fin dai titoli delle canzoni: la Rosa Porporina è un fiore ambiguo, malandrino e bello, una dichiarazione di intenti in cui gli angeli uccidono “la tristezza in un lampo di meraviglia, trasformando tutto in forma di rosa”; Trasformazioni contrappone alle apocalissi annunciate la pulsione verso la vita e l’amore; Là ci darem la mano è un riferimento ribaltato al melodramma, in cui le figure che lottano fra richiamo dei sensi e amore puro si affastellano; nella Terra di Nessuno si abbandonano per sempre le malinconie e le aspirazioni più deteriori; il Gaudeamus diventa un inno mistico e profano, in cui il tempo che avanza non riesce a demolire la voglia di chiamarsi – e farsi chiamare – “ragazzi fino alla morte”, anche se si spengono i fuochi delle rivoluzioni giovanili e magari generazionali.
“L’amore non è quel che abbiamo, ma quello che ci manca”, come recita il primo singolo del disco (Quello che ci manca, appunto). Venuti è dichiaratamente l’ultimo romantico nel senso più profondo: evitare le apparenze, distinguere “il bello dall’inutile” fuori dal consumismo che livella tutto. Un’esigenza di andare al di là della realtà che stiamo attraversando, che avvicina l’album a ciò che l’autore (un termine da intendere nel modo più ampio possibile) ha scritto di più autobiografico, da sempre.
Non pensate però che nelle dodici nuove canzoni non ci sia lo spazio per discorsi universali o per ciò che per l’artista è stato essenziale, ossia le storie, i punti di vista, che convergono nella certezza che i Rasoi (un pezzo che è un delizioso gioiello pop) non possono eliminare del tutto il nostro pelo sullo stomaco e che si deve ancora dire Fammi il piacere (una specie di disco inferno contemporaneo) al mondo delle veline e dei presentatori senza spessore, magari, o comunque a chi si prostituisce senza ammetterlo, tutti i giorni.
A fare da sfondo a questo romanticismo a volte un po’ sognante, a volte sconsolato e altre rabbioso, una musica che vaga da un lato all’altro dell’estro di Venuti. Un privilegio dell’età, o meglio ancora, della vita che si è attraversata, è anche quello di permettersi deviazioni in chiave blues (Dna, che non a caso richiama il patto faustiano col diavolo) o rock (Non sarò io), oppure languide dissolvenze (Con qualsiasi cosa) che ribadiscono l’aspirazione al cambiamento e alla ricerca di qualcosa che lo renda possibile, senza mai tradire se stessi. Non sarò io lo dichiara senza sussiego: non si corre per arrivare primi, o per seguire gli altri. Si cambia perché l’esistenza è essenzialmente cambiamento. In questo disco la tavolozza sonora unisce orchestrazioni ariose e melodie che hanno reso Venuti celebre, in altri momenti del suo tragitto. Elettriche che cantano e riscaldano, archi che stridono appena, il pianoforte che, talvolta, raddolcisce tutto.
L’ultimo romantico non è, e non potrebbe essere, un semplice manifesto artistico: non è nello stile di chi lo ha pensato e composto. È un piccolo rimedio ai mali quotidiani, una mistura agrodolce di armonie e dissonanze, una dichiarazione esistenziale fatta da uno di cui ci si può fidare. Canzoni che puntano a non farsi dimenticare, in un’epoca che vorrebbe, a tutti i costi, consegnarci all’oblio. Gaudeamus, igitur
Il nostro articolo sull’uscita del singolo “Quello che ci manca”
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